martedì, aprile 13, 2010

Ikea: riceviamo e pubblichiamo

Negozi di vicinato e nostalgia del tempo andato
Nel merito dell'interrogazione su Ikea, a mio avviso, dare la colpa della morte dei negozi di vicinato alla grande distribuzione in Collegno è continuare a fare della nostalgia ...
... su come era bello quando stavamo peggio, mi sembra fuorviante oltre che antistorico (appartiene alla sfera dei sentimenti, non alla politica).
Il piccolo commercio è destinato a morire per asfissia naturale, se non è in grado di riqualificarsi, sopratutto culturalmente e professionalmente, per legge di mercato.
Oggi il cittadino-consumatore chiede più scelta a minor prezzo e questo un piccolo negozio non lo può dare, anche perchè i costi continuano a lievitare e quindi se vuole rimanere sul mercato deve riqualificarsi.
La perdita di occupati nella piccola distribuzione è inevitabile, si può solo fare una battaglia di resistenza, ma sino a quando? e a che prezzo? Sono battaglie perse, di retroguardia e una sinistra moderna non può fare battaglie conservative, quando non corporative, pena la sua esistenza stessa.
Vorrei non dimenticare che è tra la piccola distribuzione che si annida il lavoro nero (altro che precariato), l'evasione contributiva, l'evasione fiscale. Che poi questa si giustifichi oggi con logiche di sopravvivenza lo capisco, ma ieri ?
Che poi la grande distribuzione non sia la panacea per l' occupazione è un dato assodato. Negli anni '80 l'economia italiana aveva individuato la terziarizzazione del sistema come la soluzione per i problemi di crisi del settore produttivo. Ma come dico io, dopo aver mangiato 3 volte al giorno, più in là non si va, specie in un contesto demografico negativo. Quindi questa soluzione più che razionalizzare il sistema della distribuzione non può andare, anche perchè poi come questa crisi insegna, si arriva al capolinea quando i consumi confliggono con i redditi delle famiglie e con la sostenibilità finanziaria (compra oggi e paghi domani ha inevitabilmente un limite oltre il quale ... c'è la bolla e la crisi del sistema).
Certo l'ICI ha dato una bella spinta ai centri commerciali, per cui ogni sindaco si è sentito (se non fosse anche per emulazione) autorizzato ad aprire nuove strutture.
La proliferazione delle strutture, oltre ad avere occupato nuovo suolo (il contributo alla riqualificazione del già costruito è stata pressochè nulla), specie in periodo di crisi, mostra tutti i limiti della scelta. A Collegno , come altrove, incominciamo a vedere i fenomeni del "cerino", vendite tra gruppi della grande distribuzione dei centri commerciali (da Castorama a Le Roi Merlin). Ne vedremo altri nel futuro, anche perchè c'è una offerta superiore alla domanda e le location più deboli sono destinate a pagare dazio (pensiamo a cosa fare dei futuri scatoloni vuoti, che avremo tra qualche anno). Questa è una responsabilità politica. Non è la liberalizzazione selvaggia che risolve i problemi, bensì la programmazione. Ma chi parla oggi più di programmazione?(Programmazione, politica dei reddditi, roba da Jurassic Park !! Ma questo è l'unico pietra miliare della sinistra progresssista ). La Bresso aveva messo un limite alla crescita selvaggia contro la liberalizzazione di Ghigo. Ma di questo in campagna elettorale non ho sentito nulla.
Sarei curioso di sapere a Collegno l'incidenza dell' ICI da commercio quanto incide sul totale e capiremmo molte cose, capiremmo anche l'importanza del commercio sul bilancio comunale e quindi l'importanza del settore. Il vero motore della trasformazione urbana non è stata la "falsa" occupazione, ma l' ICI e gli oneri di urbanizzazione. Altro che federalismo fiscale!!!
In definitiva solo la "vecchia" ( vecchia come concetto di motore della economia) industria può dare una risposta all' occupazione, alla qualità della vita, al PIL (parametro di misura però obsoleto, lo diceva già Bob Kennedy nel 66).
Valter Morizio