Ciao a tutti,
la risposta di IKEA non mi pare chiara. Sembra che parlino di "ore lavoro medie" più che di lavoratori in quanto persone con diritti... Il nodo è: assumono a tempo indeterminato o no?
Sennò abbiamo cementificato del terreno e portato sul territorio un meganegozio che ne fa chiudere di piccoli o li fa agonizzare, alimentando precariato, disoccupazione e povertà. Io vorrei capire se il lavoro precario è insito nella natura di IKEA: quando servono i lavoratori assumono a tempo determinato? e negli altri mesi? di che vivono queste persone? A me sembra che una realtà che ostenta di creare occupazione possa impegnarsi ad assumere a tempo indeterminato; si tratta di buona organizzazione del lavoro e di disponibilità dei lavoratori a essere flessibili e versatili nei lavori, magari accontentandosi di stipendi più livellati come solidarietà tra lavoratori... ma questo è un discorso lunghetto...
Sui danni che causa IKEA (e grandi strutture) è molto semplice: qualsiasi economia di scala (tipo IKEA) riduce il personale impiegato: è nella sua natura;
per ogni acquisto che si fa da IKEA non lo si fa in altri negozi minori e/o di vicinato che in genere hanno un rapporto fatturato numero lavoratori migliore di IKEA;
purtroppo il danno non è in chiusure immediate, ma soprattutto in minori introiti e agonia per molti piccoli:
IKEA non vende solo mobili ma centinaia e centinaia di piccole referenze che tolgono lavoro a negozi di casalinghi, eletricità, ecc... basta esserne consapevoli...
Vi giro questa informazione estratta dal libro di Deborah Lucchetti " i vestiti nuovi del consumatore" (ed. Altreconomia): "Qualcuno si è preso la briga di calcolare l'impatto dell'apertura di un supermercato sull'occupazione locale; in Inghilterra, secondo l'organizzazione Friends of the erath, si perdono 276 posti di lavoro unitamente alla chiusura di piccoli negozi in un raggio di 11 chilometri"
e aggiungo un interessate articolo: http://eddyburg.it/article/articleview/6939/0/195/PrintableVersion=enabled
Grazie.
Gian Paolo Vallaro