Lo sdoganamento anche a Collegno, seppure obtorto collo, del filmato "La lunga scia di sangue" avvenuto martedì pomeriggio costituisce un passo avanti verso la verità storica dei fatti accaduti in quei lontani e tragici fatti del 1945. Un passo avanti però ancora parziale ed insufficiente ai fini del recupero di quella memoria divisa di cui parla lo storico Bruno Maida nel documentario.
Gli interventi che hanno seguito la visione del film hanno messo in luce ancora una volta l'esistenza di un muro culturale, prima ancora che politico, un muro che impedisce ai "custodi" dell'ortodossia collegnese di affrontare il nocciolo del problema. Pur di non fare i conti con la realtà rincorrono nemici immaginari, revisionismi storici, l'esistenza di una mancanza di rispetto in chiunque ardisca semplicemente raccontare quel pezzo di verità che per più di cinquantanni è stata gelosamente occultata da loro. E ancora una volta è stato invocato il rispetto dei morti caduti dalla parte giusta, il rispetto dei familiari dei morti caduti dalla parte giusta, fino ad invocare il rispetto dei valori e degli ideali della Resistenza. Rispetto. Questo termine è tornato con insistenza sia nelle parole degli storici che dei custodi dell'ortodossia. Rispetto, rispetto, rispetto. Tranne che del rispetto che si deve anche verso i morti caduti dalla parte sbagliata, del rispetto che si deve alle famiglie dei morti caduti dalla parte sbagliata, ma soprattutto del rispetto che si deve alla verità storica.
Dunque a Collegno chi riporta alla luce una verità occultata per più di cinquant'anni come l'eccidio di una trentina di prigionieri fascisti inermi ed estranei alla strage del 30 Aprile '45, massacrati per vendetta nella più classico occhio per occhio, chi continua a parlarne mancherebbe di rispetto. In realtà dietro questa storia del rispetto si cela la difficoltà comprensibile, ma non più accettabile, a fare i conti con la propria storia per quanto scomoda possa essere. Lo storico Bruno Maida nello stesso filmato mette ben a fuoco qual è il problema. Infatti afferma: "Ogni comunità costruisce la sua identità decidendo di ricordare alcune cose e dimenticarne altre. Si tratta di un processo spesso consapevole altre volte inconsapevole. Collegno e Grugliasco hanno fondato la loro identità storica come identità eroica, come città martiri. Un'identità vera, che indubbiamente è diventata anche una memoria sclerotizzata: i cittadini e le comunità sono diventati prigionieri della loro memoria, mantenendola identica, non provando a ragionarci sopra. Ciò ha fatto sì che pur essendo vera quella prima parte, un'altra è stata totalmente rimossa e quando questa è riemersa è esplosa una difficoltà a misurarsi con la propria storia e con ciò che era accaduto". Più chiaro di così! Allora è su questa difficoltà a fare i conti con la propria memoria che occorre puntare l'attenzione e provare a rimuoverne gli ostacoli che impediscono di prenderne atto. Non sarà facile. Nessuno ha detto che sia un'operazione semplice. Ma si tratta di un'operazione che non si può continuare a rinviare. Il macigno va affrontato e come si afferma nel documentario "è compito della politica costruire un progetto di memoria collettiva". A questo scopo appare banale l'affermazione "Se è vero che i morti dopo morti sono tutti uguali, da vivi non lo erano, perchè c'era chi si era schierato dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata". Infatti se l'affermazione non fa una grinza, nel nostro caso ha il difetto di entrarci come i cavoli a merenda, perchè a Collegno non si tratta di questo. Nessuno, almeno non il sottoscritto, penso si proponga l'obiettivo di capovolgere le categorie dell'essere dalla parte giusta o dalla parte sbagliata. L'obiettivo è uno solo: capire senza più remore che cosa accadde in quei giorni - cosa peraltro ormai abbastanza chiara - i motivi dell'occultamento e il recupero di un pezzo della propria storia nella memoria collettiva. Per quanto non si debba mai rinunciare all'idea che i maggiori responsabili della memoria dimezzata possano ravvedersi, l'impressione è che questa politica non sia in grado proprio culturalmente di fare i conti con la verità. Il senso proprietario della cosa pubblica che da tempo denunciamo è diventato col tempo anche senso proprietario della storia collegnese. Quanto è accaduto in quei giorni è affar loro e nessuno deve permettersi di ficcarci il naso. Siamo pronti ad ammettere di esserci sbagliati e felici di farlo il giorno in cui i nostri "eroi" decidessero di comportarsi come una vera leadership in grado di affrontare la questione senza titubanze fuori luogo.
Giovanni Lava