ma io me lo ricorderò tutta la vita!
Arrivai che era sera, una di quelle sere di primavera inoltrata che sanno di prato tagliato, di fronte a una palazzina malconcia. L'ingresso era sul retro, un balcone ingabbiato in una bussola di metallo trasformato nell'atrio più piccolo che si possa immaginare, due metri quadrati: il Corriere di Rivoli, Collegno e Grugliasco.
Un foglio settimanale tenuto insieme con le unghie e con i denti da un gruppo di matti innamorati del mestiere più bello del mondo. Ma tutto questo allora non lo sapevo. Ero spaventato da quella testata altisonante, e senz'altro faticai a trovare il coraggio per chiedere informazioni al tipo tarchiato con la barba (un usciere? Un fattorino? Un abbonato?) che sorseggiava un caffè sulla porta: "Vorrei parlare con il direttore, ho letto sul giornale che cercate collaboratori". Il tipo tarchiato buttò il bicchiere di plastica nel cestino tra la macchinetta del caffé e la porta a vetri: "Sono io il direttore. Vieni. Veramente è un po' tardi - l'annuncio diceva: dalle 16.30 alle 18.30, ed erano le sette passate -, ma già che ci siamo entra". Mi guardava con aria scettica, due occhi a fessura nascosti tra la barba e gli occhiali tondi. Aveva una parlata ruvida di quelle che hanno l'aria di andare dritte al sodo e di considerarti appena meno di una nullità.
Carta ovunque. Armadi a vetri di metallo, di quelli che arredano le scuole: pieni di giornali. Sedie spaiate. Una verde, una nera, una rossa, una blu. Scrivanie incastrate una accanto all'altra. La pila dell'ultimo numero, uscito quella mattina, che ancora sapeva d'inchiostro. Il direttore me ne ficcò una copia in mano: "leggilo con attenzione, impara chi siamo". Era certo che questo Corriere di Rivoli Collegno e Grugliasco stava stretto nella sua redazione, e quell'impressione - chissà perché - mi suonò come la più rosea delle premesse. Come il discorso che mi fece il direttore: niente soldi, qui si scarpina a gratis. In cambio, ti pagheremo quel tanto di contributi che ti permetterà di iscriverti all'albo dei giornalisti. Vieni il venerdì, ricevi gli ordini della settimana e consegni il pezzo il martedì successivo. Cerchiamo antenne". Antenne?
"Antenne sul territorio. Gente che si guardi intorno, veda cosa succede, scopra perché e percome. Poi venga qua e ce lo racconti. Se ce lo racconta in italiano è il massimo".
"Credo che si possa fare. Io collaboro con..."
"Lascia stare. Questa è una squadra particolare, diciamo che ti prendo in prova. E adesso ti presento il tuo capo: Stefania". Il direttore non sprecava parole.
E comparve nella mia vita Stefania. Magra come un chiodo - chi altri avrebbe potuto lavorare in un posto nel quale tra una scrivania e l'altra non c'erano che quindici centimetri di spazio? - aveva la stessa aria di chi va al sodo del barbuto. Solo, essendo femmina, la accompagnava con uno sguardo dolce. Rotolava sulle erre: chi sei, da dove vieni, dove vai, come mai sei passato di qua. "Ero dal parrucchiere, ho letto il giornale. Soprattutto il riquadro in cui si parla della ricerca di collaboratori. Eccomi qui".
Stefania sorrise, frugò nelle pile di carte allineate sulla sua scrivania. "Bene: domenica abbiamo una bella parata di armi storiche in centro a Grugliasco. Ti va?"
"In che senso?"
"Ti va di andarci".
"E..."
"E poi scrivi un pezzo di una sessantina di righe e me lo porti entro martedì. Per martedì ce la fai?"
"Quindi..."
"Quindi ti prendiamo in prova come ha detto il direttore. Mi raccomando: mi servono nomi e cognomi, intervista almeno un paio di questi figuranti. E fa' attenzione, devono essere di Grugliasco o di Collegno, tutt'al più di Rivoli. E' qui che vendiamo il giornale, vogliamo che i nostri lettori si riconoscano. Ci sarà anche un fotografo. Vi mettete d'accordo: lui scatta, tu intervisti".
Tornando a casa mi chiedevo se ce l'avrei fatta davvero. "Mi hanno preso in prova", raccontai pieno d'entusiasmo ai miei genitori quella sera a cena. "Bene", disse altrettanto piena d'entusiasmo mia madre. "Bene" disse mio padre, con un'aria appena meno scettica di quella del direttore tarchiato e barbuto. Stavo per diventare un giornalista.
Marco Sodano
Capo Redattore dell'Economia a La Stampa
La vita è fatta di pagine belle e pagine meno belle. Quella che ha ricordato Marco è sicuramente una delle più entusiasmanti della mia vita. Io non ricordo l'episodio raccontato da Marco, ma ricordo perfettamente il clima che si respirava al Corriere e che lui così bene ha evocato. Posso dire che mi ha un po' commosso?
Grazie Marco! g.l.