I saggi di Napolitano a
sigillo di un pessimo settennato.
di Peter Gomez | 31 marzo 2013
Giorgio Napolitano di peggio
non poteva fare. A coronamento di un
brutto settennato, che solo una Casta politica e giornalistica sempre più
scollegata dalla realtà riesce a continuare a osannare, il futuro ex
presidente della Repubblica affida a dieci supposti saggi il compito di
concordare un pugno di riforme istituzionali ed economiche. Tra di loro non ci sono donne e non ci sono giovani.
In compenso nell’elenco compaiono cariatidi in politica da 40 anni e dinosauri
dell’italica burocrazia.
Insomma, salvo rare eccezioni, la lista dei saggi
che dovrebbe portare a un nuovo governo indicando al Paese le quattro o cinque
cose importanti da fare nei prossimi mesi, è una perfetta fotografia della classe dirigente,
bugiarda, incompetente e voltagabbana, che lo ha affossato.
Questa volta però non basta prendersela con
i partiti cattivi. O con il risultato elettorale confuso che obbliga il
Parlamento a trovare qualche tipo di accordo. Il responsabile di questo
scempio, va detto chiaro, è Giorgio Napolitano:
il Capo dello Stato che, se proprio riteneva che la strada dei saggi fosse
quella da seguire (cosa che dubitiamo), aveva il dovere di trovare dei nomi
diversi. Oppure, e avrebbe fatto bene, avrebbe dovuto dimettersi senza indugio,
in modo da far eleggere subito un successore. Un nuovo Presidente che, forte
del voto appena ricevuto e del potere di sciogliere le Camere, mettesse
immediatamente i partiti davanti all’alternativa: o trovate il modo di dare la
fiducia a un governo, o andate a casa.
Ma Napolitano ha deciso altrimenti. E
adesso è nudo di fronte a un Paese costretto a poco a poco ad accorgersi della
realtà: i risultati politici dei suoi sette anni al Colle di fatto non
esistono, quelli istituzionali neppure.
Dietro le spalle di Re Giorgio
restano solo una serie di moniti e appelli – dalla riforma elettorale alla situazione delle
carceri – sempre inascoltati; la promulgazione, senza tentennamenti, di tutte
le leggi ad personam di Berlusconi (dal Lodo Alfano al legittimo impedimento)
poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta; le risposte stizzite rivolte ai
cittadini che subito dopo l’approvazione dello scudo fiscale, gli chiedevano: «Presidente, non
firmi, lo faccia per le persone oneste».
Restano gli interventi a piedi uniti nelle
indagini della magistratura e il fallimento dell’operazione Mario Monti, il tecnico che doveva essere il suo
successore e che invece gli ha voltato le spalle entrando, con poco successo,
direttamente in politica. Dietro Napolitano rimane insomma solo un cumulo di
partitocratiche macerie. E adesso l’unica cosa saggia da fare non è affidarsi
ai suoi supposti saggi, ma pensare a scegliere un capo dello Stato nuovo che
non provenga dalle file dei partiti. Un uomo, o una donna, che conosca l’Italia per davvero e non solo
la toponomastica delle stanze e delle segreterie dei Palazzi del Potere.
indipendenza” o per la specifica
competenza, ma perché legati da rapporti di amicizia e professionali con
l’attuale capogruppo Pdl al Senato, Renato Schifani.
Ci sono parlamentari (il leghistaGiancarlo Giorgetti)
che conoscono le regole dell’omertà da quando hanno ricevuto e poi restituito –
senza denunciare nulla – una busta piena di soldi gentilmente portata dall’ex
big boss della Banca Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani;
ex magistrati di sinistra folgorati dalla politica (Luciano Violante) e specializzati nel compromesso opaco alle spalle di
elettori e cittadini. Poi,
ovviamente, c’è Gaetano Quagliariello,
passato con nonchalance dalle file del Partito Radicale ai banchi del Pdl da
dove, dopo la morte di Eluana Englaro,
dava degli assassini agli avversari.
Insomma, salvo rare eccezioni, la lista dei saggi
che dovrebbe portare a un nuovo governo indicando al Paese le quattro o cinque
cose importanti da fare nei prossimi mesi, è una perfetta fotografia della classe dirigente,
bugiarda, incompetente e voltagabbana, che lo ha affossato.
Questa volta però non basta prendersela con
i partiti cattivi. O con il risultato elettorale confuso che obbliga il
Parlamento a trovare qualche tipo di accordo. Il responsabile di questo
scempio, va detto chiaro, è Giorgio Napolitano:
il Capo dello Stato che, se proprio riteneva che la strada dei saggi fosse
quella da seguire (cosa che dubitiamo), aveva il dovere di trovare dei nomi
diversi. Oppure, e avrebbe fatto bene, avrebbe dovuto dimettersi senza indugio,
in modo da far eleggere subito un successore. Un nuovo Presidente che, forte
del voto appena ricevuto e del potere di sciogliere le Camere, mettesse
immediatamente i partiti davanti all’alternativa: o trovate il modo di dare la
fiducia a un governo, o andate a casa.
Ma Napolitano ha deciso altrimenti. E
adesso è nudo di fronte a un Paese costretto a poco a poco ad accorgersi della
realtà: i risultati politici dei suoi sette anni al Colle di fatto non
esistono, quelli istituzionali neppure.
Dietro le spalle di Re Giorgio
restano solo una serie di moniti e appelli – dalla riforma elettorale alla situazione delle
carceri – sempre inascoltati; la promulgazione, senza tentennamenti, di tutte
le leggi ad personam di Berlusconi (dal Lodo Alfano al legittimo impedimento)
poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta; le risposte stizzite rivolte ai
cittadini che subito dopo l’approvazione dello scudo fiscale, gli chiedevano: «Presidente, non
firmi, lo faccia per le persone oneste».
Restano gli interventi a piedi uniti nelle
indagini della magistratura e il fallimento dell’operazione Mario Monti, il tecnico che doveva essere il suo
successore e che invece gli ha voltato le spalle entrando, con poco successo,
direttamente in politica. Dietro Napolitano rimane insomma solo un cumulo di
partitocratiche macerie. E adesso l’unica cosa saggia da fare non è affidarsi
ai suoi supposti saggi, ma pensare a scegliere un capo dello Stato nuovo che
non provenga dalle file dei partiti. Un uomo, o una donna, che conosca l’Italia per davvero e non solo
la toponomastica delle stanze e delle segreterie dei Palazzi del Potere.