Ho seguito
con interesse, nei giorni scorsi, sia la riunione della Commissione Ambiente
del Comune, dove è stato presentato il progetto dell’Amministrazione sul
censimento del Verde Pubblico-Catasto delle Alberate, sia il progetto
Floragrafe elaborato nell’ambito della Consulta Ambiente. Entrambi i
progetti non mettono in evidenza un aspetto delle patrimonio delle alberate,
quello culturale ed urbanistico, che intendo porre qui all’attenzione.
Le alberate
non sono solo un patrimonio ambientale e paesaggistico, rappresentano in
diversi casi un patrimonio culturale ed urbanistico, inteso come storia della
urbanistica della nostra città.
Patrimonio
che non deve essere trascurato, né può essere sottovalutato.
In
particolare mi riferisco ad es. ai nostri viali, le “lèjè” in piemontese, (XXIV
Maggio, XXX Aprile, Gramsci e XX Settembre). Essi sono nati con la costruzione
della linea ferroviaria Torino-Modane, nell’ Ottocento. Avevano, e in parte ancora
hanno, lo scopo di collegare la stazione ferroviaria con gli abitati, il Centro
Storico di Collegno, Corso Francia-Santa Maria-Leumann (anche il Corso Francia
era in parte un’alberata, sul modello torinese, il Centro Storico di Grugliasco
attraversando Regina Margherita) Prevedevano (prevedono) il transito a piedi e
in bicicletta sotto gli alberi al riparo dal sole estivo e il transito dei
carri e delle carrozze (ora le auto) a lato. Essi rappresentano quindi una
memoria storica della nostra città e del suo sviluppo urbano ed industriale,
oltre che una funzione urbanistica.
I viali
sono nati, quindi, come assi di collegamento infrastrutturali, attorno a cui
poi è cresciuta la città e le sue fabbriche (ad es. il Cotonificio Valsusa, le
bellissime alberate all’interno dello stabilimento non potevano, in parte ,
essere salvate ?), forse con non altrettanta visione nel futuro (Si pensi solo
al disordine edilizio di Piazza della Repubblica ed il progetto non proprio
entusiasmante intorno alla nuova caserma dei carabinieri)
Memoria
storica che ha il parco della Rimembranza davanti alle Scuole Boselli, nato
dopo la Grande Guerra, dove ogni albero ricordava un caduto collegnese; così
come lo è il Parco ex-OP ora Dalla Chiesa, per citare quelli che conosco e che
mi vengono in mente.
Una città
e una comunità vivono e crescono socialmente e culturalmente se vi sono dei
segni riconosciuti di memoria condivisa.
Purtroppo
le dinamiche socio-economiche e quelle demografiche hanno fatto sì che, anche
nella nostra realtà, questo patrimonio culturale rappresentato dai segni dello
sviluppo urbano, si siano persi o si stanno perdendo. E’ un patrimonio che
invece non solo va riscoperto e rivalutato, ma va esteso a quelle parti della
città che uno sviluppo troppo caotico e disarmonico ha determinato in
particolar modo negli ultimi trent’anni ponendone in forse la sua stessa
sopravvivenza.
Il
mantenimento e il recupero di una alberata quindi non è solo una questione
ambientale-paesaggistica, ma culturale, la cultura del luogo.
E’ una
sensibilità che occorre coltivare specie nelle nuove generazioni.
Costruire,
anche attraverso i segnali del paesaggio, dell’urbanistica e della storia della
comunità, il senso di appartenenza. Le alberate rappresentano e possono
rappresentare un percorso ed un messaggio in tal senso.
Una
comunità che non si riconosce attraverso il senso di appartenenza, non è una
comunità e i luoghi sono dei non-luoghi, (pensate ad es. al primo bacio dato ad
una morosa sotto ad un albero, trasformerà per quelle due persone un non luogo,
in un luogo, il loro luogo degli affetti. Vale per questo ma per tanti altri
eventi della vita).
E’ anche
il senso di appartenenza che rafforza una comunità e ne migliora i valori
sociali e civici (non a caso gli indici di qualità della vita, sono migliori
nelle piccole realtà urbane che nelle grandi aree metropolitane).
Quindi
attraverso le alberate occorre ridare un senso di appartenenza ai nostri
cittadini, ma non solo mantenendo e valorizzando il patrimonio
storico-ambientale esistente, ma ricostruendolo là dove i segni della memoria
si sono persi o si stanno perdendo (ad es. lungo la rete delle bealere e dei
canali irrigui, con le loro alberate ) e ponendolo come uno degli obiettivi
principali sia della riqualificazione urbana delle aree degradate e dismesse, sia
di eventuali futuri sviluppi, non tanto edilizi, quanto quelli della rete di
infrastrutture (ad es. la metro e i collegamenti con le sue stazioni e con le
aree urbane circostanti, attraverso dei percorsi qualificati e qualificanti,
con una vera e propria rete integrata di trasporto sia veicolare, che pedonale.
Purtroppo l’urbanistica moderna ha perso il valore dei segni, o non li valorizza a sufficienza, e spesso il tutto si riduce al rispetto burocratico degli standard senza una progettualità che faccia del verde e delle alberate un valore non solo ambientale, ma anche una espressione culturale attraverso cui ricostruire un senso di appartenenza dei cittadini ai luoghi.
Purtroppo l’urbanistica moderna ha perso il valore dei segni, o non li valorizza a sufficienza, e spesso il tutto si riduce al rispetto burocratico degli standard senza una progettualità che faccia del verde e delle alberate un valore non solo ambientale, ma anche una espressione culturale attraverso cui ricostruire un senso di appartenenza dei cittadini ai luoghi.
Forse è
giunto il momento di cambiare.
Valter Morizio
Collegno
27 dicembre 2012