Le recenti tragiche alluvioni di questi giorni, prima alle Cinque Terre, poi a Genova ed in altre parti del nostro territorio, hanno riacceso il dibattito sull’urbanizzazione e cementificazione indiscriminata del nostro suolo, che ha avuto una crescita esponenziale in questi ultimi anni.
Pur tuttavia da dibattito alcune questioni, che sono tra le cause di questi fenomeni di dissesto e che hanno anche uno stretto riferimento al nostro territorio, sono state trascurate. Mi riferisco in particolare alla rete fognaria in relazione all’espansione urbana e al consumo di suolo.
Gran parte della rete principale fognaria dei nostri comuni è stata progettata e realizzata negli anni 60/70 del secolo scorso quando le nostre città avevano una popolazione residente che si aggirava intorno ai 30-40.000 abitanti e le previsioni di crescita dei PRGC non erano forti. Lo sviluppo urbano avvenuto negli anni successivi,con la cementificazione, il consumo di suolo e l’aumento della superficie impermeabile dovuto alle nuove costruzioni, alle strade, ai parcheggi hanno messo in crisi quelle reti fognarie. Basta quindi un violento acquazzone estivo o piogge consistenti, come quelle di questi giorni, per mettere sotto pressione la rete, che diventa insufficiente per smaltire in tempi rapidi l’acqua che vi si riversa. Avviene così che i tombini saltano, le caditoie, anche pulite, non ricevono, e l’acqua anziché venir smaltita, si riversa per le strade ed allaga i punti più bassi, arrecando danni ai cittadini e alle cose pubbliche.
Una corretta programmazione urbana vorrebbe che l’adeguamento della rete fognaria seguisse pari passo lo sviluppo urbano e se ciò non fosse possibile lo si frenasse. Ma così non è stato e non è. Quindi si aggravano i problemi e gli effetti secondari. Anche certe scelte urbanistiche non solo di ampliamento delle aree edificate, ma relative all’aumento delle volumetrie nelle parti già edificate aggravano le situazione. È noto che ad esempio in alcuni quartieri i piani interrati sono a una quota inferiore a quella della rete fognaria e quindi le acque meteoriche dei boxes non possono essere smaltite durante le piogge. Anzi poiché molte fognature vanno in pressione e quindi l’acqua può tornare indietro dagli scarichi ed allagare gli edifici occorre mettere delle valvole di non ritorno, le quali però se evitano i ritorni, impediscono lo smaltimento delle proprie acque piovane che o vengono riversate in strada oppure come spesso accade vanno a finire in pozzi perdenti abusivi che stanno al di sotto dei piani interrati. Non solo ma quando avvengono queste ondate di piena le acque che scaricano nei depuratori a causa della loro quantità vengono riversate direttamente nei fiumi attraverso gli scolmatori senza che subiscano il trattamento di depurazione, contribuendo al loro inquinamento, con buona pace del rispetto ambientale.
Ma perché la programmazione urbana non segue l’adeguamento delle reti? In fin dei conti quando si realizzano nuovi edifici si pagano gli oneri di urbanizzazione, che avrebbero il compito di finanziare le opere pubbliche, tra cui le fognature, e renderle adeguate alle nuove necessità. Purtroppo, causa la riduzione dei finanziamenti ai comuni, per legge si è stabilito, su proposta dell’ Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) l’utilizzo dei proventi degli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente. Ovvero è consentito utilizzare fondi destinati agli investimenti, quali l’adeguamento delle fognature, per pagare stipendi o spese di ordinaria amministrazione oppure servizi. Una vera e propria distrazione di fondi legalizzata. Non solo, ma poiché le reti fognarie viaggiano nel sottosuolo e quindi sono invisibili al cittadino, tranne quando avvengono le calamità, e quindi non portano voti gli amministratori pubblici preferiscono destinare quei fondi per opere che si vedono e che richiamano l’attenzione dei cittadini, quali nuove sistemazioni stradali, giardini pubblici o per illuminazione. Purtroppo oggi conta più ciò che appare, rispetto a ciò che serve, salvo accorgerci dopo che ciò che si doveva fare non si è fatto a tempo debito e magari sentire gli amministratori pubblici di aver fatto tutto quanto era dovuto e magari piangere lacrime di coccodrillo davanti a tragici eventi, magari dimenticando le scelte di priorità mancate .
Che fare quindi? Innanzitutto ripristinare le vecchie norme che destinano gli oneri di urbanizzazione a opere pubbliche di investimento e rivedere le scelte dell’ANCI, che fanno da alibi per gli amministratori più populisti, anziché richiamarli alle proprie responsabilità; limitare l’espansione urbana indiscriminata con precisi vincoli all’adeguamento di tutte le opere idrauliche; infine ripristinare l’ICI per ridare autonomia finanziaria ai Comuni e non dover costringere i Sindaci a rilasciare licenze edilizie per fare la manutenzione delle scuole.
Un’ultima riflessione: ma siamo sicuri che il federalismo e l’autonomia fiscale migliori la qualità delle scelte dei nostri amministratori pubblici nell’interesse dell’intera collettività? Oppure questa autonomia finisce per accrescere la ricerca del facile consenso, favorendo ciò che si vede rispetto a ciò che necessita?
Ing. Valter Morizio