Con la
vendita, o meglio, la svendita, del
patrimonio, dei “beni comuni” (gtt, amiat, trm, sagat, asili nido, ecc), i
cittadini si troveranno più poveri e Torino continuerà ad essere oberata di
debiti: dove si troveranno i rimanenti 3500 milioni di euro di debiti della
città accumulati negli ultimi 20 anni?
Dall’ipotesi
di vendita della sola AMIAT (la nostra previsione si è dimostrata esatta, AMIAT
da sola non se la comprava nessuno), si sono resi conto di dover, voler avviare
una unica delibera di vendita accorpando TRM.
Rimaneva
il dubbio relativo alla quota di TRM da cedere al privato, 49% o 80%, ricordiamo
che alla costituzione di TRM si era detto e scritto che sarebbe stata
interamente e soltanto pubblica (articolo 8 dello statuto, ora velocemente
modificato).
Venerdì
20 luglio hanno sciolto la riserva: cessione dell’80%. Raccontando qualche
mezza verità per far digerire a consiglieri comunali, già di bocca buona, che
le banche erano d’accordo e così pure Provincia di Torino e ATOR.
In
commissione senza particolari timori hanno detto e ribadito più volte che
l’obiettivo della vendita è raccattare soldi per il rientro nel “patto di
stabilità”. I problemi. Le problematiche ambientali interessano poco o meno.
A
questo punto hanno concordato l’invio in aula per lunedì 23 luglio.
Ma,
sempre venerdì 20, verso le ore 19 leggiamo che:
la Corte Costituzionale restituisce la voce ai cittadini
italiani e la democrazia al nostro Paese.
Lo fa dichiarando incostituzionale, quindi inammissibile, l'articolo 4 del decreto legge 138 del 13 Agosto 2011, con il quale, il Governo Berlusconi, calpestava il risultato referendario e rintroduceva la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questa sentenza blocca anche tutte le modificazioni successive, compresa quelle del Governo Monti. Consiglio di Stato ci ha dato ragione.
Lo fa dichiarando incostituzionale, quindi inammissibile, l'articolo 4 del decreto legge 138 del 13 Agosto 2011, con il quale, il Governo Berlusconi, calpestava il risultato referendario e rintroduceva la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questa sentenza blocca anche tutte le modificazioni successive, compresa quelle del Governo Monti. Consiglio di Stato ci ha dato ragione.
A fronte di questa decisione, ragione vorrebbe che l’iter si
fermasse, essendo mutati i parametri giuridici sui quali si incardinavano sia
la delibera quadro del 23 novembre 2011 sia questa che vuole essere approvata.
Dalle prime reazioni apparse sui giornali, nulla sembra
smuovere le intenzioni del governo torinese, nella commissione di lunedì 23
luglio 2012 hanno portato un maxi emendamento che semplicemente eliminava la
fonte giuridica cassata dalla Corte Costituzionale.
Decadono le motivazioni originarie “ce lo chiede la legge”,
ma non importa, le vere motivazioni sono FARE CASSA.
E se poi Provincia, Comitato di Controllo, Sindaci collusi,
che ancora vorrebbero comprare quote di TRM illudendo i cittadini che in quel
modo sarebbero entrati nella cabina di comando, esprimano vaghi e falsi mal di
pancia…pazienza…Questi soggetti cercano di mascherare la loro povera
opposizione illudendo e proponendo una vendita di TRM “solo” 49%. Non possono
dirlo, svelare la demagogia delle ciance: una gara a “doppio oggetto” dà in
mano ai privati la gestione delle aziende, indifferentemente che si parli di
49% o 80%.
Si conferma quindi che l’intenzione di vendita è dettata non
certo per una maggiore efficienza della filiera ambientale, in questo modo
Torino scarica sugli altri comuni parte di quel debito (circa 4 miliardi di
euro), costituito negli ultimi 20 anni.
Rimane il problema economico, dalle valutazioni degli Esperti, la vendita di AMIAT-TRM dovrebbe far
incassare al comune di Torino circa 150 milioni di euro.
Ma i compratori saranno davvero disponibili oppure
contratteranno, come pare “normale”. Ancora, saranno altresì disponibili ad
accollarsi, seppur quota parte (80% ovviamente), le garanzie dei debiti bancari
accesi con BEI, UNICREDIT E PARIBAS per un totale di 420 milioni di euro,
forniti per la costruzione dell’impianto?
E’ possibile che la gara possa andare deserta, tanto che
nella delibera è prevista l’ipotesi del ricorso a “trattativa privata”.
Le ipotesi sono quindi due:
a) uno o più privati rispondono alla gara che però per la
logica “del massimo ribasso”, potrebbero offrire ben di meno di quanto
ipotizzato;
b) nessuno si presenta, si avvia la trattativa privata,
magari con IREN (indebitata di 3 miliardi di euro, questa è una clamorosa
dimostrazione del fallimento di Sindaci che si improvvisano finanzieri), se non
fosse IREN, indifferentemente il privato a fronte di una gara buca, sicuramente
proporrà il “SUO PREZZO” e non sarà certo quello richiesto e ipotizzato dal
governo cittadino.
Il rischio di cadere dalla padella nella brace è altissimo.
Supponendo che si trovi il compratore che supera tutti
questi ostacoli, come minimo vorrà avere mano libera su almeno tre parametri:
1) determinazione delle
tariffe, oggi TRM offre una ipotesi di costo di 105€ a tonnellata (in ogni caso
il costo dello smaltimento costerà oltre il 50% in più degli attuali costi
discarica di Cassagna, 70€/ton.), ma sappiamo che la stessa IREN costruttore
dell’impianto di Parma, richiederà 169€ a ton.
2 2) aumento del volumi
smaltiti, dalle caratteristiche tecnologiche dell’impianto sappiamo che le
attuali e dichiarate 421.000 tonnellate potrebbero diventare circa 600.000,
magari importando rifiuti “da fuori”
3 3) riduzione dei costi
relativi ai controlli ed agli smaltimenti in sicurezza, delle scorie, si
ricorda che un inceneritore produce circa 30% di scorie delle quali il 5% sono
tossico-nocive.
La sentenza della Corte Costituzionale potrà rilanciare il ricorso al TAR contro la
delibera quadro sulle privatizzazioni del 23 novembre 2011 in termini giuridici
di “motivazioni aggiunte”.
Evidentemente non ci arrenderemo, oramai sappiamo che tutte
le bugie vengono fuori, la verità è dirompente e la sua negazione prima o poi
la fa esplodere.
Pietro Cavallari