Di Pietro (idem la Bindi) per non essere accorso subito al capezzale di Berlusconi ha sbagliato due volte, anzi tre. La prima sul piano umano, perché di fronte a quella smorfia di dolore e a quel volto insanguinato non ci sono distinguo che tengano, si trattasse anche del peggior nemico. La seconda sul piano politico: coprire in qualche modo con le sue parole quella ampia area di demenza infantile che si esalta a chi spara più cazzate sul web o nella pubblica piazza e che ha gioito alla notizia dell’attentato a Berlusconi rappresenta un abbraccio mortale ai danni della democrazia. La terza sul piano della furbizia politica, perché anche un neonato avrebbe annusato la trappola del "distinguo".
Personalmente sono rimasto prima disorientato dall’accaduto e poi man mano che il tempo passava sempre più consapevole del danno che il gesto inconsulto di uno squilibrato – mi auguro isolato - ha arrecato alla nostra convivenza civile, già tanto compromessa. Man mano è cresciuta la paura che quel gesto possa rappresentare l’inizio della fine per la democrazia nel nostro paese, almeno per come noi l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Ho sentito anche fisicamente lo sgomento e il dolore di Silvio Berlusconi. Mi sono rivisto qualche anno fa in Piazza Castello colpito in piena faccia dalla manganellata di un energumeno con la divisa di poliziotto mentre dal marciapiedi protestavo civilmente contro lo sparo indiscriminato di candelotti lacrimogeni tra la folla del sabato pomeriggio a passeggio. Mi è sembrato di risentire in bocca il sapore del sangue e negli orecchi le urla di mia moglie.
Domenica scorsa ho sentito anche un “ben gli sta!”. E allora un’altra immagine si è fatta strada nella mia mente. Era il 16 marzo del 1978. Mi trovavo in classe durante la compresenza nella scuola elementare a tempo pieno di Lesna a Grugliasco, quando il bidello entrò e ci annuncio il rapimento di Aldo Moro. La mia collega alla notizia applaudì. “Non capisci niente” la apostrofai con rabbia. Dio solo sa quanti anni ci sono voluti per venir fuori da quegli anni di piombo, quanti lutti, quante lacrime. Questo bisogna raccontare ai giovani che non hanno vissuto quegli anni, di come si possa esser ciechi e non capire che in una democrazia non esiste una violenza giusta, e forse non esiste neppure sotto una dittatura. Che nessuno ha il diritto di decidere a tavolino della morte di qualcuno. Che una vita è una vita, è quella vita è unica e irripetibile e questo vale sempre. Vale per i poveretti che continuano a morire nel tentativo di attraversare il Mediterraneo come vale per Silvio Berlusconi. Anzi per Silvio Berlusconi vale di più, perché in questo momento incarna l’istituzione e il corpo delle istituzioni è sempre sacro, come lo era un tempo il corpo del re.
Collegno, 15 dicembre ’09
Giovanni Lava