lunedì, ottobre 14, 2013

L'ITALIA DEL SILENZIO


Oliva e Manzi evitano di andare fino in fondo.
"La Resistenza è stata davvero un'esperienza palingenetica della nostra storia o non, piuttosto, l'alibi attraverso cui l'Italia e gli italiani hanno evitato di fare i conti con le proprie responsabilità?" E' la domanda che si è posta lo storico Gianni Oliva e a cui ha cercato di rispondere venerdì scorso nel corso della presentazione a Collegno del suo ultimo libro dal titolo eloquente "L'Italia del silenzio - 8 settembre 1943. Storia del paese che non ha fatto i conti con il proprio passato". L'incontro è stato organizzato dal Comitato Resistenza Colle del Lys e dall'ANPI di Collegno. 
Il libro è diviso in due parti, nella prima vi è una rivisitazione degli eventi di 70 anni fa, nella seconda, quella a dir di molti la più interessante e per qualcuno provocatoria, vengono poste domande imbarazzanti. Oliva in sostanza ha affermato che i guasti dell'Italia di oggi derivano in parte anche dal fatto che non si è mai fatto i conti con le responsabilità dell'Italia e degli italiani per il Ventennio fascista e gli orrori della guerra, in cui i soldati italiani nelle nei paesi occupati si macchiarono spesso di crimini che nulla avevano da invidiare a quelli commessi dai nazisti in Italia. Altro che italiani brava gente! Il ragionamento di Oliva si sviluppa su di una linea che parte dalla constatazione che la Resistenza fu una scelta di pochi, mentre La maggioranza degli italiani, la cosiddetta "zona grigia", rimase estranea ai venti mesi di guerra partigiana; e una parte aderì alla Repubblica di Salò. La Resistenza poi sarebbe servita per non fare i conti con il proprio passato. Grazie alla Resistenza gli italiani hanno evitati di vergognarsi di quanto accaduto. Quando la guerra è finita abbiamo fatto finta di averla vinta. E la Resistenza ci ha permesso di affermare che in fondo eravamo usciti dalla guerra vincitori e di non avere responsabilità verso tutto ciò che l'aveva preceduta.
Non si tratta in ogni caso di una tesi nuova. Già il grande storico liberale Rosario Romeo ben prima di Gianni Oliva aveva detto: "La resistenza, opera di pochi; è stata usata da tanti per evitare di fare i conti con il proprio passato". Ciò che è nuovo è il fatto che a sostenerlo sia oggi uno storico organico alla vulgata resistenziale. Infatti non a caso si parla di tesi provocatoria che subito è stata condannata da molti esponenti della sua area politico-culturale.
Da educatore prima che da storico Oliva si è chiesto se il modo nel quale la storia del fascismo e della Resistenza è stato trasmesso ai giovani è quello giusto oppure se il mettere in luce solo le luci e dando poco peso alle ombre non sia all'origine di quanto è accaduto in Italia con il ventennio berlusconiano.
Ma allora va modificato il modo in cui la Resistenza viene ricordata e divulgata ai giovani? Se lo è chiesto Elena Cattaneo del Comitato Colle del Lys. L'intervento del senatore Luciano Manzi non ha lasciato spazio a ripensamenti: per quanto si è detto d'accordo con le tesi di Oliva, a suo avviso, non va modificato il modo con il quale da decenni viene raccontata la Resistenza ai giovanni. Oliva, forse timoroso di cadere in disgrazia presso l'ANPI e gli ambienti tradizionali di culto della Resistenza da cui proviene, ha risposto a Manzi che le sue tesi sono solo per gli addetti ai lavori, mentre va benissimo somministrare ai giovani la stessa minestra di sempre. Posso dire che mi sono cadute le braccia a sentirlo a affermare ciò?
In fondo è sempre la stessa storia. Anche qui a Collegno, quando non hanno potuto più nascondere i fatti del 1° Maggio 1945, li hanno ammessi, ma questo non ha modificato di una virgola i loro comportamenti in occasione delle varie celebrazioni. Silenzio c'era prima, silenzio ha continuato ad esserci anche dopo.
Tornando però al libro di Oliva, non è solo quanto da lui sostenuto che ha impedito di fare i conti all'Italia e agli italiani (tutti) con il passato fascista. A mio avviso c'è una mistificazione di fondo più grave.
Quando, per esempio, si parla dell'orrore delle leggi razziali del 1938, si dice sempre che si tratta di una delle più imperdonabili colpe del fascismo. E si dice la verità. Peccato che contemporaneamente si dà vita ad una gravissima rimozione. Chi addossa al fascismo la responsabilità di quelle leggi dice la verità, chi esprime una condanna  del fascismo senza appello per quella responsabilità fa bene. Peccato però che nel 1938 in Italia, a parte qualche sparutissima eccezione, erano tutti fascisti, compresi gli intellettuali, compresi quelli che poi scriveranno la gloriosa pagina resistenziale. Una pagina che sicuramente ha riscattato le colpe del fascismo, ma non le ha cancellate. I guasti sono rimasti. Quelle colpe le forze politiche del cosiddetto arco costituzionale le hanno sempre addossate ad un fascismo altro da sè e le hanno caricate solo sui nostalgici del fascismo. Le leggi razziali furono colpa dei cattivi, noi siamo i buoni, quindi ... 
La Resistenza e l'antifascismo post-bellico sono stati usati per cancellare colpe collettive e colpe individuali e per rifarsi tutti una verginità. Questo ha consentito di traghettare bellamente nel dopoguerra più o meno sottotraccia vent'anni di cultura e di consuetudini fasciste che avevano agito in profondità e che hanno continuato a produrre i loro frutti avvelenati, dal razzismo, alla corruzione, allo scarso senso della comunità, all'immoralità e al doppiogiochismo in politica come normalità da premiare...
Ecco perchè a mio avviso Oliva, e Manzi che si dice d'accordo con le sue tesi, vestali entrambi della Resistenza, sono arrivati ad avvertire che qualcosa non ha funzionato nella trasmissione dei suoi valori alle generazioni successive. Hanno cominciato a mettere  a fuoco la verità dal punto di vista storico, ma poi non sono conseguenti nei comportamenti concreti, non vanno fino in fondo. Posso capire che non è affatto facile, anche perchè dal punto di vista politico-culturale purtroppo è troppo tardi ormai. Eppure forse varrebbe la pena di provarci a fare i conti con il nostro passato una buona volta, senza i soliti piccoli calcoli di bottega.
Giovanni Lava